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giovedì 9 maggio 2013

Spopolamento montano

Non ci si pone il problema oggi. Si tratta solo di una riflessione. Premesso ciò, rimane comunque interessante affrontare la discussione soprattutto per capire se si tratta di una tendenza, che cela un ritorno, oppure del "divorzio" tra uomo e montagna. Gli insediamenti storici, ovvero quelli che hanno lasciato tracce antiche, riguardano "fatti di vita primitiva" e cultura tramandata.
Allevatori per necessità o per mestiere, minatori per l'estrazione dei minerali (la storia ricorda anche una parentesi nera fatta di amianto) e poi uomini ammaestrati dal progresso e dall' offerta di una vita agiata che nettamente contrastava le difficili condizioni di quella montana.
Perché vivere al limite? Perché soffrire il freddo e la fame? perché lavorare duramente per avere poco?
Ecco che la voce echeggiò dalle valli alle cime e tutti, in testa i giovani, si buttarono nella promessa industriale che tanta ricchezza e benessere promise. Il tempo fece il resto. Gli anziani, che saggiamente e per ovvi motivi non se la sentirono di abbandonare il luogo di infanzia, uno ad uno sparirono e con essi la tradizione e la cultura.
Montagna oggi vuol dire solitudine ed è sinonimo di turismo. Un ambiente da salvaguardare e che, come unico ruolo, deve allietare le giornate nei fine settimana.
Molte valli conservano rovine di baite, annegate nei boschi, che svelano l'architettura di una vita fatta di sacrifici, di difficoltà e di silenzi.
Il turismo odierno non serve a fermare il processo di spopolamento montano. In certi casi sembra quasi favorirlo. Lo sviluppo economico produce altri fattori come ad esempio la crescita delle rendite immobiliari che alimentano le agenzie e soddisfano  i "non proprietari" a scapito dei proprietari. Il turismo richiede l'acquisto di immobili destinati all'abitazione ma solo per un breve periodo dell'anno e la mancanza dei servizi (delle comodità) scoraggia maggiormente il pensiero di fissa dimora.
Alcune regioni del Tirolo, per esempio, pur se geograficamente isolate, sono servite dalla telecomunicazione e dai trasporti invernali e tutto questo fa da cornice alle aziende agricole da turismo, fonte di lavoro.
Ma anche trovando il coraggio di cambiare stile di vita, ci si renderà conto che un piccolo centro abitato di montagna non avrà mai la poliedricità di un centro urbano sviluppato, rischiando di trasformarsi nel luogo delle "occasioni perdute"
Luigi Zanzi, dell'università di Pavia, evidenzia in modo particolare l'aspetto etico della scelta di vivere in montagna.
"Popoli montanari non si è ma si diventa" - e poi ancora - "è una scelta di libertà e di terre povere". Zanzi sostiene che "la conservazione della cultura montana tramite la sua rinascita può avvenire solo qualora emergano nuovi gruppi comunitari, nuove popolazioni che si avventurino a investire le proprie sorti nella montagna".
Ma quale condizione o promessa  può spingere in massa un certo numero di persone per dare vita ad una comunità montana?