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giovedì 9 maggio 2013

Le Alte Quote: Tra Medicina Tradizionale e Scienza Moderna

Tra gli appassionati di trekking d'alta quota, specialmente sulle Ande, è diffusa l'esperienza dell'uso di rimedi tradizionali locali, in particolare le foglie di coca.
Le guide native spesso suggeriscono questi rimedi tradizionali per affrontare meglio le altitudini elevate.

Contrariamente a quanto si possa pensare, la medicina moderna ha studiato approfonditamente gli effetti di questi preparati tradizionali.
Un significativo studio condotto da ricercatori boliviani nel 1997 ha evidenziato come i masticatori di foglie di coca mostrassero una migliore mobilizzazione del glucosio rispetto al gruppo di controllo, suggerendo un potenziale effetto nel contrastare l'ipoglicemia da sforzo in alta quota.

Tuttavia, la medicina sportiva moderna sconsiglia l'uso di questi rimedi tradizionali, poiché possono comportare rischi significativi per il sistema cardiovascolare. La ricerca scientifica ha sviluppato alternative più sicure ed efficaci:

1. Idratazione e nutrizione:
  • Bevande reidratanti specifiche contenenti:
    • Sali minerali bilanciati
    • 30% di carboidrati (mix di glucosio e malto-destrine)
  • - Dosaggio: 500-700 ml/ora di attività, variabile in base a:
    •   - Intensità dello sforzo
    • Condizioni ambientali
    • Caratteristiche individuali

2. Gestione del mal di montagna:
  • Approcci farmacologici validati:
    • Acetazolamide
    • Desametasone
  • Prevenzione attraverso:
    • Ascensione graduale
    • Acclimatazione appropriata

3. Preparazione preventiva:
  • Programma di acclimatazione (1 mese prima):
    • Allenamento progressivo in quota
    • Pernottamenti oltre i 3000 metri
    • Stimolazione naturale della produzione di eritropoietina
    • Aumento fisiologico dei globuli rossi

Questa metodologia scientifica permette di affrontare le alte quote in sicurezza, ottimizzando la performance fisica e minimizzando i rischi per la salute. L'approccio moderno integra conoscenze fisiologiche, preparazione atletica e supporto medico appropriato, superando la necessità di ricorrere a pratiche tradizionali potenzialmente rischiose.

Spopolamento montano

Non ci si pone il problema oggi. Si tratta solo di una riflessione. Premesso ciò, rimane comunque interessante affrontare la discussione soprattutto per capire se si tratta di una tendenza, che cela un ritorno, oppure del "divorzio" tra uomo e montagna. Gli insediamenti storici, ovvero quelli che hanno lasciato tracce antiche, riguardano "fatti di vita primitiva" e cultura tramandata.
Allevatori per necessità o per mestiere, minatori per l'estrazione dei minerali (la storia ricorda anche una parentesi nera fatta di amianto) e poi uomini ammaestrati dal progresso e dall' offerta di una vita agiata che nettamente contrastava le difficili condizioni di quella montana.
Perché vivere al limite? Perché soffrire il freddo e la fame? perché lavorare duramente per avere poco?
Ecco che la voce echeggiò dalle valli alle cime e tutti, in testa i giovani, si buttarono nella promessa industriale che tanta ricchezza e benessere promise. Il tempo fece il resto. Gli anziani, che saggiamente e per ovvi motivi non se la sentirono di abbandonare il luogo di infanzia, uno ad uno sparirono e con essi la tradizione e la cultura.
Montagna oggi vuol dire solitudine ed è sinonimo di turismo. Un ambiente da salvaguardare e che, come unico ruolo, deve allietare le giornate nei fine settimana.
Molte valli conservano rovine di baite, annegate nei boschi, che svelano l'architettura di una vita fatta di sacrifici, di difficoltà e di silenzi.
Il turismo odierno non serve a fermare il processo di spopolamento montano. In certi casi sembra quasi favorirlo. Lo sviluppo economico produce altri fattori come ad esempio la crescita delle rendite immobiliari che alimentano le agenzie e soddisfano  i "non proprietari" a scapito dei proprietari. Il turismo richiede l'acquisto di immobili destinati all'abitazione ma solo per un breve periodo dell'anno e la mancanza dei servizi (delle comodità) scoraggia maggiormente il pensiero di fissa dimora.
Alcune regioni del Tirolo, per esempio, pur se geograficamente isolate, sono servite dalla telecomunicazione e dai trasporti invernali e tutto questo fa da cornice alle aziende agricole da turismo, fonte di lavoro.
Ma anche trovando il coraggio di cambiare stile di vita, ci si renderà conto che un piccolo centro abitato di montagna non avrà mai la poliedricità di un centro urbano sviluppato, rischiando di trasformarsi nel luogo delle "occasioni perdute"
Luigi Zanzi, dell'università di Pavia, evidenzia in modo particolare l'aspetto etico della scelta di vivere in montagna.
"Popoli montanari non si è ma si diventa" - e poi ancora - "è una scelta di libertà e di terre povere". Zanzi sostiene che "la conservazione della cultura montana tramite la sua rinascita può avvenire solo qualora emergano nuovi gruppi comunitari, nuove popolazioni che si avventurino a investire le proprie sorti nella montagna".
Ma quale condizione o promessa  può spingere in massa un certo numero di persone per dare vita ad una comunità montana?

Bivacco

Lamiere sottili ed arrugginite, scheletro di legno e quattro brande. Questi sono gli elementi essenziali che costituiscono il riparo degli alpinisti o dei camminatori di quota, il punto di approdo per coloro che preparano la grande scalata o che concluderanno la lunga traversata.
I bivacchi occupano posizioni strategiche, sono posti in luoghi non esposti alle slavine e da dove è possibile godere di panorami meravigliosi. Non hanno alcun servizio e non sono custoditi. Spesso si trasformano in immondezzai, perché non tutti coloro che amano la montagna sono educati.
La manutenzione viene eseguita da personale qualificato che interviene nel caso in cui necessiti riportare rinforzi a causa di cedimento strutturale o più semplicemente per ripulirli.
Un poco di storia.
Il primo bivacco prefabbricato prende il nome dal suo inventore, Ravelli. Facilitava il montaggio in loco e possedeva una capienza di cinque posti letto.
Era stato concepito per sopportare la pressione dei venti e della neve e per questo aveva la caratteristica forma a semibotte (utilizzata ancora oggi).
Il successo di questo modello diede inizio alla produzione in serie. in seguito venne migliorato dall'ing. Giulio Apollonio che migliorò l'abitabilità, aumentò i posti letto e sopratutto rese rimovibili le brande,  ricavando spazio e lasciando libero il pavimento.
Le strutture, quando possibile e fin dove era concesso, venivano trasportate dai muli. Il fatto che i bivacchi dovessero essere essenziali e semplici agevolava il trasporto nel momento in cui terminava la mulattiera e solo  l'uomo poteva farsi carico del trasporto.
Il pavimento, costituito da assi, una volta composto, veniva adagiato sulle pietre, cercando un buon compromesso di livellamento.
La struttura di legno veniva montata sul pavimento ed immobilizzata a ridosso della parete o, in alternativa, a cumuli di roccia per mezzo di fasce metalliche e tasselli.
Successivamente la copertura di lamiera veniva inchiodata (oggi rivettata) al telaio.
Fatto ciò si passava alla porta, fissata alla struttura per mezzo di cerniere. All'esterno, in prossimità della porta stessa, veniva poi collocata una pala, utile ad eliminare l'eventuale neve che avrebbe ostruito il libero accesso.
Altri bivacchi, invece, venivano costruiti sempre a ridosso delle pareti ed esclusivamente con le pietre che si trovavano in loco. Tre lati di manufatto che però con il tempo rischiavano di cadere in rovina a causa delle infiltrazioni d'acqua e della mancanza di una struttura sufficientemente elastica tale da sopportare il peso della neve e la pressione del vento.

Wilderness

Wilderness: un termine inglese che racchiude una filosofia di vita, un bisogno estremo di stare a contatto con la natura selvaggia.
Trattiamo l'argomento perché pochi conoscono questa "corrente di pensiero". Gli inglesi la definirebbero "life style", noi, "voglia di natura".
In Italia esistono diverse aree ed ogni regione ha la sua. Sono zone protette dove è permesso camminare e dormire in tenda.
Prerequisiti di una area "Wilderness" sono la lontananza da direttrici motorizzate/meccanizzate e da centri abitati. Requisiti, garantisce la salvaguardia da tutto ciò che riguarda la modifica massiccia/deturpamento territoriale da parte dell'uomo (come ad es. grandi opere).
In Italia la "Wilderness" fu ideata in Abruzzo da Franco Zunino e prese piede nel 1985 in provincia di Grosseto. La filosofia però trova le sue origini in America grazie alla scrittura di Henry David Thoreau, di John Muir e di aldo Leopold (quest'ultimo era anche un cacciatore!). Da questi personaggi è nata la corrente di pensiero che ha dato vita, con il passare degli anni, a numerosi movimenti ecologisti.
Ciò che bisogna "raggiungere", praticando il "Wilderness", è il senso di solitudine e di isolamento nell'assiduo contatto con la natura. Luoghi inaccessibili, dove non esistono sentieri, dove dopo pochi passi è come se si venisse inghiottiti nel nulla o come se si varcasse un limite, un confine al di là del quale si spezza il cordone ombelicale che ci lega alla frenesia quotidiana.
Per accettare tutto ciò bisogna trovare un equilibrio interiore che poi diventa necessità. Un ritorno allo stato brado, l'abbandono delle abitudini per trovare la condizione spirituale che conduce all'armonia e alla comunione con la natura selvaggia.
"La natura selvaggia è una condizione geografica ed anche uno stato d'animo. Fa parte dell'eterna ricerca di verità che spinge l'uomo alla continua ricerca di se stesso e del suo creatore".
La prima area wilderness?
Fu creata negli stati uniti da John Muir, nel 1890, che fondò lo Yosemite national Park e da qui "raggiunsero" il suo pensiero tutti gli altri.